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giovedì 7 marzo 2013

Lo sapevate che Che Guevara ha inaugurato una fabbrica di cioccolato?

impressioni cubane, seconda parte

(qui la prima parte, qui l'interludio )

english version follows



(segue)….ed entrai in un flashback. Sono a L'Habana, Cuba, marzo duemiladododici.
Da quando c'è Raul Castro come capo del governo rivoluzionario sono state timidamente introdotte alcune novità tecnologiche sull'isola, come i cellulari. Ovviamente parliamo di Cuba e quindi quando vi immaginate i cellulari cubani immaginatevi le automobili, stesso concetto.
Non esiste un modello predominante, né tantomeno si tratta di cellulari all'ultimo grido. Il touch screen nemmeno sanno cos'è, credo. Decine di modelli diversi, arrivati in vari modi, modelli di solamente pochi anni fa che agli occhi di un decadente occidentale come me sembrano risalire al mesozoico.
Sono nella casa particular di Reynaldo e Hanoi (detto Gino) che ospita me e i miei due amici.
Siamo appena arrivati e chiedo a Gino di mostrarmi la presa di corrente più vicina per caricare il mio ipod. Quello me la indica, rimanendo molto impressionato dal mio apparecchio, del quale mi chiede ogni cosa, e io cerco di spiegargliela. Provateci voi a spiegare il concetto di wireless ad uno che vive in un posto dove si può connettere ad internet , se ha culo, col modem, una volta al mese, e può solo usare l'email. Che condivide con suo cugino. E che non è nemmeno internet, ma intranet, una rete interna all'isola.



In mancanza del considerevole aiuto economico dell'ormai ex alleato socialista, e con gli aiuti del futuro alleato venezuelano ancora di là da venire, Castro dovette ridimensionare e ripensare l'intero piano economico cubano, passare da una pianificazione centrale socialista, ad un modello di mercato decentralizzato, sempre socialista . Chiunque sia a disposizione di determinate caratteristiche logistiche poteva iniziare a fare domanda per fare della propria abitazione una casa particular, debitamente contrassegnata con un simbolo riconosciuto da tutti. In questo modo i privati cittadini hanno potuto contare sugli introiti dei turisti, e lo stato ne ha beneficiato in tasse. Nei periodi in cui gli affari vanno male, in bassa stagione, le tasse vanno pagate comunque, a quota fissa. Se non puoi devi chiudere, fin quando potrai pagarle di nuovo.

Benchè esista un'economia sotterranea a Cuba (a partire dalla prostituzione), ogni tipo di iniziativa economica individuale, anche la più piccola, è passabile di regolamentazione. In pratica è questo il piano economico decentralizzato socialista. Ti capita così di imbatterti in un cantante di strada che ti canta motivi tradizionali e pezzi propri mentre stai mangiando, e ti mostra orgoglioso la patente di cantante riconosciuta dallo stato, al quale paga i contributi e dal quale riceverà una pensione , proclama orgoglioso. Quasi a voler sottolineare che non è un mendicante o un perdigiorno, ma il suo mestiere di cantante è riconosciuto, e lo esercita con estrema dignità e bravura. Oltre a impeccabili interpretazioni dei grandi classici cubani mi colpisce un suo personale pezzo dedicato John Lennon, chiaramente in salsa caraibica (John Lennon qui è molto amato).




Baracoa è stata di sicuro la tappa più bella del viaggio per me. Quiete, belle spiaggie, ottimo cibo, gamberi giganti cucinati in latte di cocco, una delizia! A Cuba il cibo è piuttosto monotono, il posto in cui abbiamo mangiato meglio è proprio in questa colorata città all'estremo Est dell'isola.
 A Baracoa incontriamo Ruben e Alamar, due simpatici artigiani che vendono i loro artefatti lungo le spiagge della deliziosa Baracoa, anche loro provvisti di regolare licenza. Facciamo amicizia.
Vendono prodotti artigianali in legno, molto belli.
Non è alta stagione e sappiamo già che i due simpatici venditori si concentreranno solo su di noi per vendere i loro oggettini, saremmo assediati tutti i giorni finché non compriamo qualcosa. Facciamo un patto.
Compreremo tutti e tre da loro a fine soggiorno, a patto che non ce lo chiedano tutti i santi giorni. Affare fatto.
Li vediamo ogni giorno in spiaggia, non ci stressano, mantengono la parola. Anzi ci coccolano, e diventiamo amici. Ruben ogni giorno sale sulle palme e col machete stacca enormi noci di cocco che ci offre freschissime. Ci parla della sua famiglia, di un figlio a cui servono medicine che a Cuba non si trovano, di due ragazze bolognesi che hanno conosciuto l'anno scorso le quali gli hanno mandato un medicinale dall'Italia. Ci mostra la lettera e ha le lacrime agli occhi. Ci prega di salutarle una volta in Italia, ci dà i numeri. Al di là della parte umana, che sembra sincera,di questa estemporanea amicizia, le estreme gentilezze di Ruben e Alamar sono puro marketing.

 

Per anni il cubano medio ha avuto moltissime limitazioni materiali. Ciò ha sviluppato in esso, per selezione naturale, uno spirito d' adattamento forse unico al mondo, una furbizia sottile, micidiale, e un senso degli affari spietato.
A Cuba chiunque cerca di venderti qualsiasi cosa. E' un marketing umano, basato sul contatto fisico con l'acquirente, basato sull'empatia, spesso truffaldina, ma comunque vera. Il sentirsi un mero portafoglio che cammina è una sensazione che credo qualsiasi turista occidentale ha provato a Cuba. Il marketing pressante dei cubani verso i turisti in alcune circostanze è stato davvero parossistico, ai limiti del grottesco. A Santiago sopratutto. Mi ricordo questa scena incredibile, orde di tassisti ci assediavano la stazione del bus di Santiago, premendo contro i vetri come nei film di zombie! Giuro che non sto esagerando!
Ma pure qui, quando fai i paragoni col mondo occidentale, Cuba è capace di svelare certi meccanismi con disarmante semplicità.
Anche qui ti viene di fare paragoni tra Cuba e il resto del mondo. Ti chiedi ancora “cos'è meglio?”.
Subito realizzi che Cuba semplicemente svela quello che nel resto del mondo è più nascosto e subdolo.
Il marketing ossessivo che ci martella dalla tv a internet, dai centri commerciali alle radio, non è un sistema che vede il consumatore occidentale come un portafoglio che cammina? Almeno qui hanno ancora il fattore umano, da noi quasi estinto e magari ti finisce a bere un rum insieme al tizio che ti ha venduto qualcosa, steso sulla spiaggia ,chiacchierando di donne.
Come facciamo con Ruben e Alamar, nel tramonto di Baracoa.




Un po' dappertutto simpatici figli di buona donna attaccavano discorso in perfetto italiano per strada, proponendoci qualche ragazza o altro. All'Habana il distinto signor Augusto (copia del Granma sottobraccio) attacca discorso per strada mentre facciamo la fila alla Cadeca (la “casa di cambio” dove cambiare valuta), anche lui parlado un 'ottimo italiano. Mi dà una mano nel momento in cui ho bisogno di andare da un medico per un arrossamento all'occhio. Mi porta dal suo medico, mi fa saltare la fila, ordina le medicine per sè (pagandole pochissimo in pesos cubani) e le dà a me. Ci porta a casa di un amico in delle viuzze, temiamo qualcosa di brutto. Ma vuole solo venderci dei sigari, lavora in una fabbrica di sigari, e alla fine compriamo due scatole in tre, da fumare durante il viaggio. Ci invita a cena, e accettiamo l'invito al ritorno all'Avana, a fine viaggio. Casa di Augusto è un enorme stanzone senza pareti, dai tetti altissimi, sicuramente uno spazio nato per altre esigenze e trasformata in casa. Ce la mostra con orgoglio nonostante sia messa piuttosto male, e ci spiega i cambiamenti che ha in mente di fare, riassumibili in una parola: pareti. Vuole giustamente dividere questo stanzone con delle pareti e fare delle stanze, poter così fare domanda per fare la sua casa particular.




Camminare per le strade dell'Havana ti dà l'impressione di trovarti in uno speciale angolo spazio temporale. Ormai Cuba non è più come qualche anno fa, perfettamente ibernata agli anni Cinquanta. Non ti sembra certo di essere nel 2012, ma nemmeno più in piena Guerra Fredda.
Il centro de L'Havana conserva gioielli architettonici di spettacolare bellezza, sopratutto in stile liberty, ma anche in stile coloniale. Architetture sopravvissute ai decenni come da nessuna altra parte al mondo, ma fatiscenti e pericolanti senza un'adeguata manutenzione. Di recente pare che l'Unesco si sia incaricato di ristrutturarne qualcuno, e anche qualche compagnia canadese, ma sembra un processo abbastanza in alto mare. Tornati a Cuba torniamo da Reinaldo e Hanoi detto Gino. Proprio Gino ci parla di un edificio crollato proprio vicino dove dormiamo noi, con consequente morte di diverse persone. E' in possesso di un video amatoriale che tiene in una chiavetta usb, e insiste per farcelo vedere. E' il classico tipo di video che odio vedere, quelli che mostrano morbosamente teste spaccate e corpi dilaniati nelle macerie. Mi rendo conto che quel senso di voyerismo malato che vedo spesso su facebook e che pensavo fosse una degenerazione dovuta al web, è in realtà piuttosto connaturato all'essere umano. Di questi “incidenti” i media dell'isola non ne parlano ovviamente: Benchè non direttamente imputabili al governo, di certo sono conseguenza di uno stato d'abbandono e di degrado di cui il governo è certamente responsabile.





Ci parla anche dei comitati rivoluzionari di quartiere, che si riuniscono con cadenze regolari, parlano dei problemi concreti della zona, ma fungono anche da mini tribunali rivoluzionari, in cui si cerca di individuare comportamenti “antirivoluzionari”, denunciarli o almeno stigmatizzarli. Gino ci confessa di essere nipote di una scrittrice cubana dissidente che vive a Parigi e che ogni tanto gli manda dei regali. Per questo motivo, dice, è mal visto dai comitati di quartiere.

La sfida che attende Cuba nei prossimi anni è quella di scegliere tra la voglia di fare parte del mondo esterno e l'orgoglio di rimanere ancorati alla loro storia. Come tutto ciò che è proibito lo sfavillante mondo del capitalismo ha un certo fascino verso molti cubani, spesso davvero malcelato.
Siamo forse vicinissimi al punto di rottura di Cuba. Sono in molti a fare pessime previsioni sul “dopo Castro” . Molti pensano che una volta finito il castrismo succederà come nell'ex Urss, scoppio della criminalità, invasione delle multinazionali straniere. Io non credo che succederà questo, se non in minima parte. Questi quarant'anni di rivoluzione a qualcosa sono serviti. L'”uomo nuovo” in qualche modo esiste. Ed è provvidenziale che il nuovo corso di Cuba avverrà tra pochi anni, giusto negli anni in cui il sistema occidentale sta mostrando i suoi limiti, proprio mentre il nostro giocattolone colorato sta implodendo.

La società occidentale è in declino. Il sistema neoliberista ha mostrato la sua ferocia e la sua inadeguatezza alle sfide economiche mondiali, fondamentalmente perchè è insostenibile. Ancora si sentono politici parlare di crescita come antidoto ad una catastrofe generata proprio dalla crescita! Ancora le aziende ti costringono a cambiare prodotti invece di aggiustarli, di buttare il cibo invece di riscaldarlo per cena, di cambiare abito, auto, telefono, solo perché passano di moda.
Cuba ha resistito decenni contro il mondo, contro ogni logica, così vicina al cuore dell'impero occidentale da sembrare un miracolo inspiegabile. La storia di Cuba degli ultimi decenni è stata anche quella di Castro, certo. Un uomo che la Storia giudicherà, per parafrasare lui stesso, che la storia sta già giudicando. Sebbena la Rivoluzione Cubana sia stata una vera rivoluzione popolare, dire che il suo popolo lo ha sempre appoggiato è esagerare; Cuba è stata isolata per tantissimo tempo, è divenuta più povera delle ottimistiche previsioni iniziali. Ci sono stati dissidenti, e ci sono tutt'ora, dentro e fuori Cuba, a dimostrazione che la parabola cubana e quella castrista sono state troppo intimamente legate per poter farne una miope apologia oggi. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, Cuba cade a pezzi, tanti cubani se ne vogliono andare (mi viene in mente il toccante discorso di una ragazza sulla spiaggia a Baracoa, il cui sogno più grande era vedere le piramidi egiziane, desiderio per noi facilmente appagabile con un pacchetto vacanza, ma per lei languido e lontano come una chimera, come un sognatore romantico nell'Ottocento immaginava lidi lontanissimi e irragiungibili).
 E' notizia di questi mesi che Raul Castro renderà presto molto più facile viaggiare all'estero per i cubani (ad oggi la procedura è complicata e costosa). I cubani si apriranno al mondo, e cosa accadrà? Verranno diluiti nell'orgia finale del consumismo? Non lo so. Spero solo che l'insofferenza verso i lati oppressivi del castrismo, verso l'embargo, la chiusura e le ristrettezze economiche non spinga acriticamente i cubani tra le braccia del modello di sviluppo opposto, il nostro, che sta morendo. Spero che si prendano le loro giuste libertà e rivendicazioni, anche frivole, ma che non vengano sopraffatte dalla dittatura culturale occidentale, molto più invasiva e pericolosa (perché subliminale) dei lati oscuri del castrismo. E spero che i turisti occidentali non vadano a Cuba sono per scoparsi una mulatta o per comprare i berretti del Che. Quello che può darti davvero Cuba è altro. 

La visione concreta di un modello di sviluppo sostenibile, rimasto miracolosamente congelato per motivi storici, ma che dovrebbe essere conosciuto.
Un modello di sviluppo rimasto a dimensioni umane, in una società che è ancora umana. In cui l'economia è fatta di rapporti tra le persone, di senso della comunità.
Noi tutto questo lo stiamo perdendo. Nei nostri supermercati iniziano a comparire le casse automatizzate senza cassiera, nei nostri aeroporti il check in si fa nella macchinetta, e nessuno si ribella per questo. 
 
SergeLatouche quando parla della “decrescita felice” non descrive un mondo primitivo o medievale, descrive il mondo degli anni Sessanta. Il mondo in cui si è fermata Cuba, che applica quel tipo di mentalità anche alle cose nuove che si affacciano lentamente sull'isola, come i cellulari. L'Havana è piena di negozietti che riparano i cellulari, come non ne ho mai visti! Mi pento di non aver portato con me il mio vecchio Nokia, ormai senza suoneria, prezzo pagato 39 euro, prezzo chiestomi per la riparazione in Italia 30 euro! Qui a Cuba me lo aggiusterebbero per 5 pesos convertibili.
Il negozietto che aggiusta il cellulare è un magnifico esempio di mentalità della decrescita (che per noi si chiama decrescita, per i cubani è stata semplicemnete non-crescita), un impeccabile modello di imprenditoria anni Sessanta applicata all'odierno, lontana diecimila galassie dall'asettico e inutile “Genious bar” della Apple dove mi trovo adesso.
Gli anni Sessanta. Che assurdo meccanismo che è la nostalgia di epoche che non abbiamo mai vissuto. Un epoca forse ingenua, certo. Ho iniziato presto io a rimpiangere gli anni Sessanta, pur essendo circa vent'anni dopo la loro fine. Ho iniziato ascoltando Celentano da adolescente, le audiocassette di mio padre, i Beatles poco dopo, in pieni anni Novanta, tornando al presente soltanto con l'avvento dei Radiohead.
Gli anni Sessanta mi ricordano le vecchie foto di mia madre da giovane.

Dopo le stronze asperità dell'adolescenza, dove i genitori sono solo degli stronzi, vecchi per definizione prima ancora che per anagrafe, vai a vivere da solo, capisci tante cose che non capivi. Una tra tutte, la forte austerità anti spreco di mia madre.
Il non comprare determinate cose perchè “non sono necessarie”, a volte privandomi di beni che all'epoca mi sembravano indispensabili. I “capricci” li chiamava (e li chiama ancora) mia madre.
Intendiamoci, ho avuto un'infanzia felice, che non cambierei per nulla al mondo se lo potessi fare.
Semplicemente, l'ho passata senza videogiochi e senza nemmeno pensare lontanamente di chiedere il motorino. Questa “austerità” mi permise di leggere un sacco e mi fece scoprire la creatività, iniziai a fare fumetti (avevo dieci anni).
Oggi, talvolta, mi lamento di non avere abbastanza tempo per leggere quanto vorrei, e sopratutto di fare le mie cose quanto vorrei. Certo, un bel po' di tempo se ne va nelle incombenze da adulto moderno (procacciarsi cibo e fare finta di riprodursi), ma una parte del tempo lo butto via, lo spreco, con molte delle cose che mia madre chiama ancora “capricci” (la dipendenza da internet, per dirne una).
In ogni caso, verso i sedici anni questa cosa divenne insopportabile, vedevo il mondo là fuori (come i cubani!) e ne volevo fare parte, giocare con tutti i suoi giocattoli!

Ho anelato l'indipendenza come un pazzo e l'ho afferrata appena ho potuto. Non avevo capito una cosa che adesso mi è chiara, mia madre mi aveva salvato.
Nonsi esce vivi dagli anni Ottanta” cantano gli Afterhours, e io li ho attraversati nel periodo più vulnerabile della mia vita, l'infanzia, quasi immune dal terrorismo psicologico consumista che è stato inculcato alla mia generazione. Mi sono ribellato all'”austerità materna” negli anni Novanta, ma ormai ero fuori pericolo. Ho raggiunto, bene o male, una certa indipendenza economica. Ho avuto soldi miei per comprare tutto quello che volevo, o quasi, e tante volte li ho bruciati in perfette stronzate. Ma mi sono ritenuto, e mi ritengo tutt'ora, immune dal virus consumistico. Mi sono dato una scala di valori. Miei ovviamente, non di mia madre (molto più ristretta). “Cosa mi serve veramente?” mi sono chiesto. E mi sono risposto. Tutto il resto mi tocca relativamente. Il vestito firmato, l'elettrodomestico di moda non mi tangono. Ero “no logo” prima che Naomi Klein scrivesse il libro. E devo questo a mia madre, senza dubbio.

Senza rendersene conto è riuscita a prolungare quella mentalità anni Sessanta fino alla mia adolescenza, regalandomi un vaccino straordinario.
A Cuba la gente conserva tutto, perchè tutto si può riutilizzare o può servire per creare qualcos'altro. Popi, un amico di Ruben e Alamar, a Baracoa, ci mostra orgoglioso un motorino di sua invenzione che usa per lavorare i semi di cacao e fare barrete di cioccolata che vende in spiaggia ai turisti, assieme ai dolcissimi cucuruchos. Il motorino è quello di una vecchia lavatrice sovietica, opportunamente modificato. Genio puro.
Mi vengono in mente le centinaia di lattine e contenitori e vario ciarpame conservati metodicamente da mia mamma per anni, riutilizandoli poi per fare lavoretti artistici alla scuola materna,dove ha insegnato per anni,o per altri usi domestici. Dimenticandosi però di non essere più negli anni Sessanta, quando il mondo del contenitore superfluo era ancora agli albori, né tantomeno a Cuba, dove trovare un sacchetto di plastica è una rarità. E così mi sono ritrovato, tempo fa, a dover ridimensionare, buttandoli o riciclandoli, sterminate distese di barattoli e sacchetti di plastica, che non avremmo smaltito mai nemmeno utilizzandoli per l'immondizia nei prossimi cento anni (mia madre voleva ammazzarmi)!
Assurdo, certo. Ma il principio, la logica dietro quel comportamento da formichina impazzita è ineccepibile: sprecare è sbagliato. E' peccato, direbbe mia madre, buttandola subito nel sacro.
Ma stavolta avrebbe ragione, mia madre. Il peccato originale che sta fottendo la nostra civiltà, come ho realizzato in maniera cristallina dentro quell'Apple Store.

Ed è finito il flash back, esco dal negozio.
Tra un paio di settimane avrò un ipod nuovo, completamente gratis perché è ancora in garanzia. Non mi lamento eh!
Ma penso alla fortuna che ha avuto Cuba, e che ho avuto io.
Cuba la deve a Castro, io a mia madre.
Fidel Castro e mia madre, entrambi autoritari, spesso contro il volere del popolo. Ma che al di là degli errori hanno forse lasciato un importante anticorpo.
Fidel Castro lo giudicherà la storia, mia madre la giudico io.
Grazie mamma! 



ps: ah, lo sapevate che Che Guevara ha inaugurato una fabbrica di cioccolato?


















english version






Did you know that Che Guevara inaugurated a chocolade factory?
cuban impression, second part
 (here the first part, here the interlude. the english version is always after the italian one)

(follows)… and I went into a flashback. I am in L'Habana, Cuba, march twotousand and tuelve.
Since Raul Castro leads the revolutionaty government they slowly introduced some technological innovation like mobile phones. Well, we are talking about Cuba, so when you think about mobiles keep i mind the cuban cars, same concept. There is no a main model, and of course they are not all the rage. I'm not even sure they know what the term “touch screen” means. Just few years old models, although they look like from the Mesozic to me, decadent son of the Western world.
I am in the casa particular of Reynaldo and Hanoy (aka Gino) where me and my friends are hosted. We just arrived and I ask to Gino to show me a socket to charge my ipod. He shows it to me and remains pretty impressed by my device and start to ask me everything about it. I try to do it, but it's not easy. Try to explain the concept of “wireless” to someone who can connect to the internet , if he is lucky, once per month , still by the modem, and just to check his email, shared with his cousin. And it's not even internet, but intranet, an internal web only for the island.

Without the considerable economic help from the former sovietic ally, and with no help yet from the future venezuelan ally, Castro had to think back and reduce the whole cuban economic plan, swiching from a socialist central planning to a decentralized market, always socialist. Whoever has an house with the right condictions can apply for a casa particular duly marked with a symbol recognized by all. Like this the private citizens can count on the incomes from the tourists, and the state can cash the taxes.


Although in Cuba the black market do exist ( first of all the prostitution), every kind of economic enterprise, even the smaller, is subject of regulation. That's the socialist decentralized marked basically. So it's easy to meet a busker on the street, singing traditional songs while you are eating and then he proudly shows you his regular busker license recognized by the state. By wich he pays taxes for the retirement. He is proud to remark, by this, he is not a wastrel busker dangling on the street, but a skilled and recognized professional. In addition to impecable interpretation of traditional cuban songs I'm impressed by a piece he personally wrote and dedicated to John Lennon, in caraibean sauce (John Lennon is very loved in Cuba).

Baracoa was for sure the nicest stage of the journey to me. Quiet, fine beaches, tasty food, giants shrimps cooked in coconut milk, delicious! The food is pretty monotonous in Cuba, the best place where we ate is in this colorfull city of the East!
In Baracoa we meet Ruben and Alamar, they also provvided of regoular license. They are two nice craftsmen whom sell their artefacts along the beach of the lovely Baracoa. They sell nice wooden artefacts. It's not hight season and we do know that we would be besieged all days untill we'd buy something. We make a deal. We'll buy a lot of stuff all together the last day if they won't ask us every day. Deal!
We meet them everyday along the beach but they don't stress us, they keep the word. They pumper us instead and we become friends. Ruben climbs everyday on some coconut palm collecting some coconut for us with his machete. Fresh coconut, delicious! He talk about his family, about his son who needs medicine impossible to get in Cuba. He talks about the two italian girls he met last year whom send him the medicine from Italy, he shows us the letter they send to him and his eyes are wet. He give us their number and begs us to say hi to them once in Italy.
Ruben and Alamar are very nice, and the human part of this extemporaneus friendship looks sincere, after all. But what Ruben and Alamar are doing is pure marketing.

For years the average Cuban had many material limitations.
This fact developed in him, by natular selection, an adaptability out of the ordinary, a thin foxiness and a great ability in business. In Cuba everybody try to sell you everything. It's human marketing, based on the physical contact, on empathy, often fraudolent, but real anyway. Very often you feel like a walking wallet in Cuba.
The pressing marketing in some circumstances was truly weird! Mostly in Santiago. I remember this unbelivable scene, hordes of taxidrivers besiege us at the Santiago's bus terminal, pushing the glasses, like in a zombie movie! I swear I'm not exagerating!
Here again, you compare Cuba with the rest of the world. And here again you think “what's better?” Then you realize tha Cuba just reveals with disarming semplicity what in the rest of the world is more hidden and sneaky.
The marketing obsessing the Western consumer is'nt even worse? Are'nt we “walking wallets” as well over here? At least in Cuba they still have the human factor, that we completely lost. And in the end of the day you are lying on the beach with the same guy who sold you something, drinking rum and talking about women. That's what we do with Ruben and Alamar, in the Baracoa sunset.



A little everywhere nice motherfuckers started a conversation on the street, in perfect italian, offering us some girl or some purchasing. In L'Havana the distinguished señor Augusto start a conversation with us while we are queueing at the Cadeca (the change office where to convert currency) talking a fluent italian. He helps me with some medical need I had (red eye) leading me to his doctor, requiring medicin for himself (paying them very cheap in cuban pesos) and offering them to me. Then he lead us at a friend of him's place, and the morning ends with us with two boxes of cigares. He invite us for a dinner at his place, at the end of the trip. Augusto's house is an huge room without walls, very hight roofs, definitely a space made for other pourposes turned into a dwelling place. He proudly shows us his place, although the big room is not exactly in good condictions. Augusto exposes with enthusiasm the big changes he intend to do in his big room, resumable in one single word: walls. Pretty obvious: he wants to split the big room with walls to create more rooms and be able to apply to have his casa particular .


When you walk the Havana's streets you feel to be in a special space-time corner. Well, now L'Havana is not perfectly fronzen in the Fifties, like some year ago. You don't think to be exactly in the 2012, though no longer in the middle of the Cold War. The center od the city keeps architectural gems of great beauty, mostly in Art Nouveau and Colonial style. Architectures survived the decades as anywhere else in the world, but dangerous and crumbling without a proper maintenance.The UNESCO has commissioned to restore some historically important buildings, and so did some canadian company, but it seems that the process is still up in the air.The journey is about to finish, we get back in L'Havana, at Reynaldo and Hanoy AKA Gino's. Just Gino shows us a video about a collapsed bulding in the center of L'Havana. It's a morbid video, one kind of video I hate to see, showing splitted heads and mangled corpses from the rubble. I realized that that kind of sick voyerism I often see on facebook is not a degeneration of the web, but it's something strictly inherent to the human nature.The island's media never talk about these accidents. Though they are not directly imputable to the government, they do are related to the poor state in wich they are, of wich the government is certainly responsable.
 
 He tell us about the neighborhood's “revolutionary committee”, which meet at regular intervals, discussing the real problems of the neighborhood and also acting as a mini “revolutionary tribunal” trying to identify every anti-revolutionary behavior, reporting it or at least stigmatizing it. Gino proudly states to be the nephew of a famous dissident cuban writer who lives now in Paris and send him some present once in a while. That's why he is so unpopular to the commitee.
In the next years Cuba has a challenge: to choose between the will to be part of the rest of the world or remain anchored to its history. It is a fact that, like everything that is forbidden, the glittering world of capitalism will continue to attract many cubans.
Probably the Cuba's breaking point is very close. Many observers make very bad predictions about the “after Castro” in Cuba. Many picture a scenario very similar to the former Ussr, outbreak of crime, foreign multinationals' invasion. I don't think that this is going to happen, if not in small part.
These forty years of revolution have served to something. The “new man” really exists, is some way. It is providential that the new course of Cuba is going to happen in few years, perfect timing! Just in these years the western system is showing its limits, our big colorfull toy is about to implode.
Western society is in decline. The neoliberal system showed its ferocity and inadeguacy to the global econonic challeges, basically because it's unsustainable. Politicians still talk about growth like the only antidote to disaster just caused by the unsustainable growt! Companies still force you to change your product and by a new one, instead to fix it, to throw away the food instead to warm it up for dinner, to change our clothes, car, phone, just because they go out of fashion.Cuba has resisted for decades against the world, against every logic, so close to the Western empire's heart, an unbelivable miracle. The history of Cuba of the lastest decades was also the Castro's one, of course. A man who will be judge by History, to paraphrase himself (and maybe it's already happening).
Cuban Revolution was definitely supported by the people. Neverhless it si an exaggeration to say that his people has always supported; Cuba was isolated for long time, has become poorer than the optimistic forecasts of the beginnings. There was and there are many dissidents, inside and outside Cuba, it would be too naive to make a blind apology of Castroism today. The results are there for all to see, Cuba fall apart, many cubans want to leave ( I remember the touching talk of a girl on the Baracoa's beach, whom greatest dream was to see the egiptian pyramids, something we can easly do just buying a low cost fly; for her it was a far away dream).
Raul Castro's administration is now making easier to travel abroad for cubans (so far it was very complicated and expensive). What is going to happen? Cubans will open to the world, will they join to the consumerism's final orgy? I don't know. I just hope that the impatience towards the oppressive sides of Castroism, towards the embargo, and the hardships, do not push them uncritically between the harms of a dying economic system, our one.
I hope that they are not overwhelmed by the dictatorship of Western culture, much more invasive and dangerous (because subliminal) of the darker sides of Castroism. To visit Cuba is something more than sexual or ideological tourism, I hope that the tourists begin to understand this. Staying here you can concretely see an sustainable development model miraculously remained frozen, for historical reasons. A model that deserve to be known.
A development model in human dimensions, into a society that is still human. In which economy is made of human relationships, sense of community.
Our societies are loosing this, without rebelling.



When Serge Latouche talks about the “happy decrease” does not describe the primitive world, or the middle age; he descrive the world of the Sixties. 
Just he world in which Cuba has stopped. They still use this “sixties mentality” , even with the modern products. L'Havana is full of mobile repair shops, I've never seen that much! I regret not having brought my old Nokia, by now without ringtone, even if it's still perfectly working. I paid that mobile 39 euros, in Italy they asked me 30 euro to fix it! Here in Cuba they could fix it for 5 convertible pesos.
The mobile repair shop is a perfect example of “decrease mentality” (for us is “decrease”, for cubas it was simply “no-growt”), an impecable model of Sixty's entrepreneurship applied to today's, far away ten thousand galaxies from the useless Apple's “Genious bar” where I am now. 

The Sixtes. Such a weird mental process, to be nostalgic of an age you've never lived! Maybe a naive age, of course. I started very early to regret the Sixties, even if I was born approximately twenty years after their end. I began listening my dad's music tape of Celentano when I was a teenager, then the Beatles, coming back to the present time only when Radiohead appeared.When I think about the Sixties I remember my mother's picture, when she was young.When you are a teenager you are an asshole, your parents are TWO assholes, two old assholes, to be precise. They are old for definition, even before than for date of birth. Then you go to live on your own, and start to understand somenthing you did'nt understand before.
Among the many, I understood the strong anti-waste austerity of my mother.She used not to buy me stuff whenever she felt they was “not usefull”, depriving me of things that at that time I thought necessary. She call the “whims”.
 


Don't misunderstand me, I had a beautifull childhood, I would never change it if I could.I spent my chilhood and adolescence without videogames and I would never asked for a moped.This “austerity” allowed me to read a lot, and to discover my creativity, I began to make my firsts comics (I was ten). Today I often regret not to have enought time for reading and for making my stuff. Yes, I spend some time for the normal “adult activities” (to get food and pretend to breed), but a part of it I just waste it, whit activities that my mom still call “whims” (the internet addiction, for instance).Anyway, when I was around sixteen this situation became unbearable, I used to see the world outside (like cubans!) and I wanted a part of it, I wanted to play with all its toys!
I wanted my indipendence so much, and I got it as soon as I could. I did'nt understand, at that time, something that is now very clear to me, my mother saved me. “ Non si esce vive dagli anni Ottanta” [“Nobody gets out alive from the Eighties”] sing the Afterhours. I crossed the Eighies in the more vulnerable moment of my life, the childhood, almost immune to the psychological terrorism that they instilled to my generation. I rebelled to my “mother austerity” in the Nineties, but I was already out of danger. I reached, little by little, a certanin economic indipendence, I had my money, I was free to buy (almost) whatever I wanted (many time, perfect bullshits). But I felt, and I still feel, pretty much save from the consumerist virus. I always ask myself “what I really need?”. I answer to myself, and I don't care about the rest. I don't care about the big car or the designer dress, I was “no logo” before Naomi Klein would write her book. I own it to my mom, no doubts.
Thanks to my mom the “Sixty mentality” survived in my family until my adolescence, giving to me an extraordinary vaccine.
People keep everything in Cuba, they waste nothing. Everything is usefull to create something else, or to be reused. 
 
Popi, a friend of Ruben and Alamar, in Baracoa, proudly shows us a little machine that he invented, to work the cacao'seeds and make chocolade bars to sell to the tourists on the beaches, along with the delicious cucuruchos. The starter and other pieces are taken from an old sovietic washing machine, properly modified. Pure genious.
I remind the hundreds of cans, containers, and other trash, methodically kept by my mom, for years, reusing them to make handicrafts with her children at the kindergarden where she taught for years, or for some domestic purpose.
Forgetting that we were not in the Sixties anymore, when to get an extra plastic container was less easy than today, and not even in Cuba, where is rare to get a plastic bag. That's how my mom during the years created an huge collection of can, bottles, bags and so on...



It's crazy, I know. But the principle, the logic behind this behavior of crazy ant is right: to waste is wrong.
It's a sin, my mom would say, she likes to switch everything into religion.
But this time she would be right.
The original sin that is screwing our civilization , how I realized at that Apple Store.
The flashback is over, I get out from the store.
In a couple of weeks I'll get my new ipod, completely free, because it's still under warranty.
Hey, I'm not complaining!
But I can't help to think back about Cuba, and my childhood.
Fidel Castro and my mother, beyond the mistakes they made, they have left an important antibody.
Fidel Castro will be judge by History, my mom will be judge by me.
Thank you mom!

ps: ah, did you know that Che Guevara inaugurated a chocolade factory?




venerdì 10 agosto 2012

Cartelloni cubani

(impressioni cubane, prima parte)

(english version following)

 

E' passato qualche mese da quando sono andato in vacanza a Cuba.
Da tempo volevo andarci, avevo rimandato troppo. Volevo visitarla prima che finisse l'epopea umana di Fidel Castro.

Cuba è un posto curioso. Non è possibile fare semplicemente del turismo a Cuba. Il turismo a Cuba è sempre accompagnato da un aggettivo qualificativo, nella fattispecie i seguenti due:
1)turismo sessuale
2) turismo ideologico

Per la maggior parte della gente è impensabile fare del semplice turismo a Cuba. Quasi il 100% dei tuoi interlocutori ( e oserei dire dei turisti incontrati in loco) che vanno a Cuba si inseriscono tranquillamente in una di queste due categorie.

Adesso, non voglio fare l'alternativo a tutti costi.

Ma io a Cuba ci sono voluto andare per fare del turismo e basta. Sapevo che sarebbe stato un viaggio diverso dagli altri, avevo di certo voglia di capire qualcosina in più su questa isola dalla storia incredibile. Ma credetemi, non sono andato a Cuba né per scopare, né per vedere la tomba del Che.
Il bello è che ci sono andato con due miei amici che hanno, uno scopato, l'altro visto la tomba del Che.
Un po' scemo mi sono sentito, a dire il vero.

Anche perchè quando racconto del mio viaggio agli amici le domande che mi pongono sono: “hai scopato?” e/o “hai visto la tomba del Che?”.

Alle mie risposte negative mi guardano delusi, a volte non capendo che cazzo sono andato a Cuba a fare.
Ma vabbè.
In realtà il viaggio nell'isola caraibica è stato molto istruttivo.
Alcune cose mi sono piaciute, altre meno. Ma sarebbe molto lungo elencarle adesso.

Quello che volevo fare adesso è piuttosto riflettere sul concetto di scelta in democrazia.

Dopo il viaggio a Cuba ed essermi fatto, più o meno, un'idea mia sui risultati della Rivoluzione, volevo tanto sentire il punto di vista di Fidel Castro. Ho preso il librone intervista del 2003 in cui Castro condivide il suo punto di vista col giornalista Ignacio Ramonet (“ Cien horas con Fidel”, un titolo che è tutto un programma. Un mattone di più di seicento pagine. Ma molto scorrevole e interessante, lo consiglio).

Il giornalista ad un certo punto fa a Fidel la fatidica domanda sulla democrazia, sul fatto che sì, begli ideali, belle scommesse, tanti colpi bassi dagli USA, ma comunque a Cuba non c'è una vera democrazia, dato che i Castro sono comunque al potere da decenni e non ci sono delle elezioni che permettano al popolo di scegliere.

La risposta di Castro mi ha colpito.
A Cuba ci sono elezioni, dice. Elezioni locali. La gente vota i propri rappresentanti locali, che devono essere chiaramente fedeli alla Rivoluzione.
La presenza di Castro alla presidenza non sarebbe altro che un simbolo, una garanzia per la Rivoluzione stessa. I cubani hanno scelto già, cacciando via un governo corrotto e instaurando il socialismo. Se a mezzo secolo dallo sbarco del Granma vige ancora questo sistema e nessuno ha mai fatto una vera controrivoluzione, ciò significa che ai cubani va benissimo così.
E poi, chiosa Fidel (riporto a memoria), siete davvero sicuri che voi (riferendosi a tutti i cosidetti paesi democratici) abbiate davvero libertà di scelta quando andate a votare due candidati praticamente identici?


Questa storia che i candidati alle elezioni siano identici rischia di ricordare i tormentoni di Grillo. Ma Fidel Castro ha senz'altro uno spessore culturale diverso da quello del comicopolitico genovese, e la sua domanda va valutata con più attenzione.
Il nocciolo del discorso è questo. Ogni volta che noi “paesi democratici” andiamo a votare un candidato di destra o di sinistra, andiamo a votare due persone che propongono sfumature diverse all'interno di un sistema economico e politico che ci hanno dato per immutabile. Quello dell'attuale  capitalismo. E' chiaro che Obama sia diverso da Bush, che Bersani sia diverso da Berlusconi. Ma i programmi che tutti loro propongono si inseriscono all'interno di un sistema che nessuno ha deciso. Ne' i politici, ne' tantomeno noi.

Mi faceva impressione vedere che a Cuba non esistesse la pubblicità.
Solo grandi cartelli con eroi della Rivoluzione, frasi di Che Guevara, Josè Martì e molti altri. Massime morali.
Agli occhi di un “democratico” occidentale facevano quasi sorridere.
Poi pensavo alle nostre di strade.
 Zeppe di pubblicità di prodotti che nemmeno ci servono, piene di desideri indotti di cose di cui un attimo prima non ne sentivamo  il bisogno.
Cos'era meglio?
Una frase che dice “fedeli alla nostra storia” o una mela morsicata che dice “pensa differentemente” a milioni di persone che poi comprano lo stesso tablet?
Su Cuba e su Castro si possono fare tante critiche. Fidel non è certo un santo e Cuba non è affatto il paradiso. Ma almeno i cubani hanno fatto una rivoluzione per scegliere un sistema politico ed economico.

Noi “democratici” occidentali, quando l'abbiamo scelto il sistema in cui viviamo?

I cartelloni cubani veicolano un ideologia.I nostri forse no?

Mentre penso a tutto questo sono sul taxi (un'auto bianca degli anni Cinquanta) che ci sta portando ad Alamar, ascolto musica col mio ipod. Lo guardo e entro in un flash forward: tra qualche mese quell'ipod avrà un problema, sarò costretto a portarlo a riparare. Mi allontano per qualche minuto dalla calda atmosfera caraibica e sono a Bergen, in Norvegia, all'interno dell'Apple  Store....


(fine prima parte. prossimo capitolo "Il peccato originale" )




english version

Cubans' poster

(cuban impressions, first part)

 

 Some months passed since I've gone in holyday to Cuba.
I wanted to go since long time, I postponed it too many times. I wanted to visit it before the human adveture of Fidel Castro would end.

Cuba is a weird place. It's not possible to do  simple tourism in Cuba. The tourism in Cuba is always associated with a qualitative adjective, in the case in point the following two:
1)sexual tourism
2) ideological tourism
 
For most people is inconceivable  to do simple tourism in Cuba. Almost 100% of your interlocutors (I would say of the tourist I met in loco)  going in Cuba belong to one of these categories.

Now, I don't want to do the alternativ at all costs.

But I wanted to go in Cuba to be a tourist and that's it. I knew  it would be a trip different than the others and I really wanted to know something more about this island with such an incredible story.
Believe me, I haven't been in Cuba to get laid or to visit the tomb of Che.
The best of it is that I went there with two friends of mine who got laid (one) and visited the tomb of Che (the other one).

I felt a little fool, actually.

Also because when I talk about my cuban trip my friend ask me “ did you get laid and/or visit te tomb of Che?”. When I answer negatively they are a little disappointed and don't understand what the fuck I went in Cuba for.
Whatever.

Actually the trip in Cuba was very informative. I liked some things, I did'nt like something else. It would be too long to list all of them now.

What I want to do now is to reflect about the concept of choise in democracy.

After my cuban trip I gained, more or less, an insight into the results of the Revolution, and I wanted to know the point of view of Fidel Castro. I took a big book, an 2003's interview where Castro share his point of view with the journalist Ignacio Ramonet  (“One hundred hours with Fidel”, I recommend it).

At one point the journalist enquire Fidel  about democracy. Ok, hights ideals, hights perpectives, many blows below the belt from USA, but anyway in Cuba ther's not a real democracy 'cause the Castros are in charge since decades the people are not allowed to choise by regular elections.

 I was struck with Castro's answer.
In Cuba there are elections, he said. Local elections. People vote their local representatives which have to be, obviously, loyals to the Revolution.
The presence of Castro would be just a symbol, a guarantee for the Revolution itself. Cubans have chosen already chasing away  a corrupt government and enstablish socialism. If after half century nobody have done a counterrevolution it means that for cubans is fine like this.
And then, add Fidel, are you really sure that you (referring to the so called democratic countries) are really free when you vote two candidates practically identical?

This argoment sounds a little superficial and populist, but maybe it deserve to be explored a little better.
The heart of the matter is this. Everytime we “democratic countries” go to vote a right or left candidate, we go to vote two persons that offer us different nuances  within an economic and social system that they gave us as immutable. The one of the present capitalistim. Of course Obama is different than Bush. But both's programs belong to a system that nobody has chosen.
Nor politicians, even less us.

I was impressed about the fact that in Cuba there is no advertising. Only big posters with the heroes of Revolution, mottos of Che Guevara , Josè Martì and many others.
Moral maxims.
At a first sight  they made me almost laught.
Then I thought to our streets.
Full of advertising of products we don't really need and induced desires.
What's better?
A motto saying “ faithful to our hystory” or a bitten apple saying “think different” to millions of people using the same tablet?

We can make several critics about Cuba and Castro. Fidel is not exactly a saint and Cuba is not the paradise. But at least  the cubans made a revolution to choose a politic and economic system. 
When did we “democratic” westerners choose the system we are living in?

Cubans posters spread an ideology.
Don't ours do the same?

Mentre penso a tutto questo sono sul taxi (un'auto bianca degli anni Cinquanta) che ci sta portando ad Alamar, ascolto musica col mio ipod. Lo guardo e entro in un flash forward: tra qualche mese quell'ipod avrà un problema, sarò costretto a portarlo a riparare. Mi allontano per qualche minuto dalla calda atmosfera caraibica e sono a Bergen, in Norvegia, all'interno dell'Apple  Store....

I'm on a taxi while I'm thinking about this. The taxi is an old car from the Fifties, leading us to Alamar. I'm listening music with my ipod. I look at it and I get into a flash forward: in few months I'll have some problem with my ipod and I have to bring it to a repair store. I fly away from the warm caraibean atmosphere where I am now, and I am in Bergen Norway, into an Apple store.....


(cuban impression, end of part one, next chapter "The original sin")




Han pasado algunos meses desde que estuve de vacaciones en Cuba. Había deseado ir hacia largo tiempo, pero lo pospuse muchas veces. Quería visitar el país antes de que concluyera la aventura humana de Fidel Castro.
Cuba es un raro lugar. No es posible hacer un turismo simple en Cuba. Al turismo en dicho país se le asocia siempre un adjetivo cualitativo, en especial cualquiera de los dos siguientes:
  1. Turismo sexual
  2. Turismo ideológico

Para la mayoría de la gente es inconcebible hacer un turismo simple en Cuba. Al menos cien por ciento de tus interlocutores (podría decir que todos los turistas que conocí) viajaban Cuba motivados por una de estas categorías.

No tiendo a seguir las opciones dadas, a cualquier costo.
Tenia claro que queria viajar a Cuba, ser una turista y eso es todo. Yo sabia que seria un viaje distinto a los demás y realmente quería conocer algo más sobre esta isla con tan increíble historia. Créame, no he viajado a Cuba para tener sexo o para visitar el memorial del Che. Lo mejor de esto es que estuve allá con dos amigos quienes sí tuvieron sexo (uno de ellos) y visitaron la tumba del Che (el otro).
Me sentí un poco tonto, de hecho.
También porque cada vez que hablo sobre mi viaje a Cuba mis amigos me preguntan: ¿tuviste sexo y/o visitaste el memorial del Che? Cuando respondo negativamente se muestran un poco decepcionados y no entienden por qué rayos fui a Cuba entonces.
Da igual.

Aún así mi viaje a Cuba fue muy informativo. Me gustaron algunas cosas, no me gustaron otras. Seria muy largo enunciarlas todas ahora.
Sobre todo cuando lo que realmente quiero hacer es reflexionar sobre el concepto de libertad de elección en la democracia.
Mi viaje a Cuba me permitió acercarme, más o menos, a los resultados de la Revolución, y deseé conocer el punto de vista de Fidel Castro. Tomé un libro grande, una entrevista del 2003 donde Castro compartía su punto de vista con el periodista Ignacio Ramonet (“Cien horas con Fidel”, lo recomiendo).
En un momento el periodista increpa a Fidel con una pregunta sobre la democracia. Está bien, grandes ideales, grandes perspectivas, muchos golpes bajos de parte de Estados Unidos, pero de cualquier manera en Cuba no hay una democracia real porque los Castros han estado en el gobierno durante décadas, no se le permite a la gente elegir a través de elecciones regulares.
Fui impresionado por la respuesta de Fidel castro. En Cuba hay elecciones, dijo él. Elecciones locales. La gente vota por sus representantes locales los cuales tienen que ser, obviamente, leales a la Revolución.
La presencia de Castro viene a ser solo un símbolo, una garantía para la Revolución misma. Los cubanos han elegido mantener fuera un gobierno corrupto y establecer el socialismo por su cuenta. Si después de medio siglo nadie ha hecho una contrarrevolución eso significa que los cubanos están bien como están.
Y entonces, añade Fidel, ¿están ustedes realmente seguros (refiriéndose a los llamados países democráticos) de que son efectivamente libres cuando votan por dos candidatos prácticamente idénticos?
Este argumento suena un poco superficial y populista, pero quizás merece ser explorado un poco mejor.
Esta es la cuestión. Cada vez que nosotros “países democráticos” votamos un candidato de derecha o izquierda, en realidad votamos a dos personas que nos ofrecen diferentes variaciones que pertenecen a un sistema económico y social que ellos nos dan como inmutable. El elegido por el capitalismo del presente. Por supuesto, Obama es diferente a Bush. Pero ambos programas pertenecen a un sistema que nadie ha elegido.
Ni políticos, ni siquiera nosotros.


Yo me sentí impresionado respecto al hecho de que en Cuba no hay publicidad. Solo grandes carteles (posters) de héroes de la Revolución, frases del Che Guevara, José Martí y muchos otros. Máximas morales. A primera vista, ellos me hicieron casi reir.
Después pensé en nuestras calles.
Llenas de publicidad de productos que no necesitamos realmente y que nos inducen deseos.
¿Qué es mejor?
¿Una frase diciendo “fieles a nuestra historia” o una manzana mordida diciendo “piensa distinto” a millones de personas que usan la misma tablet?
Podemos hacer muchas críticas sobre Cuba y Castro. Fidel no es exactamente un santo y Cuba no es ciertamente un paraíso. Pero al menos los cubanos hicieron una revolución para elegir un sistema político y económico.
¿Cuándo nosotros, occidentales “democráticos”, elegimos el sistema en el cual estamos viviendo?

Los posters cubanos esparcen una ideología.
¿No hacen nuestros posters lo mismo?

Viajo en un taxi mientras reflexiono sobre esto. El taxi es un carro antiguo de los años cincuenta, que nos lleva a Alamar. Estoy escuchando música con mi iPod. Lo miro y me introduzco en una predicción al futuro: en unos meses yo tendré problemas con mi iPod y tendré que llevarlo a una tienda de reparación. Vuelo lejos de la cálida atmósfera caribeña donde estoy ahora, y estoy en Bergen (Noruega), dentro de una tienda Apple…