(english version follows)
Sto imparando a conoscere la Norvegia e i suoi abitanti, ma non voglio scrivere un saggio sui norvegesi, come qualcuno sta facendo in questi giorni, pur conoscendoli ancor meno di me.
Posso parlare delle mie impressioni, ed è la sola cosa che mi sento in grado di fare.
In questi giorni ho come l'impressione di vivere in un piccolo villaggio.
So di non essere il solo.
La Norvegia di fatto è composta per la maggior parte di piccoli villaggi; la popolazione intera, benchè sparpagliata in grandissimi spazi, mi sembra che nel suo insieme si comporti come un piccola e stretta comunità.
Se qualcosa di brutto è appena accaduto nel paesino,la comunità intera è fortemente coinvolta emotivamente.
La tragedia di questi giorni la conosciamo tutti, un esaltato ha compiuto una strage.
C'è una lunghissima tradizione di stragi e di bombe in molti paesi del mondo, tra cui il mio paese, l'Italia.
Non ci vuole molto ad immaginare come la psiche collettiva delle popolazioni di tali paesi sia in qualche modo forgiata dalle proprie storie di sangue.
In Norvegia fatti del genere non sono mai accaduti da che si abbia memoria, e le ultime bombe esplose sul territorio nazionale sono state durante la Seconda Guerra Mondiale.
La psiche collettiva del popolo norvegese non era pronta, l'immagine che mi è venuta in mente più volte in questi giorni è quella di una giovane donna che perde la verginità attraverso uno stupro.
Dietro ai volti rigati di lacrime, dietro il dolore non urlato delle centinaia di persone viste in questi giorni non ho potuto fare a meno di vedere anche un certo stupore.
Uno stupore che amplifica il dolore.
Probabilmente lo stesso stupore che dovremmo provare tutti di fronte alla violenza, che sia la prima o la millesima volta.
Forse dovremmo imparare dai norvegesi, iniziare a vedere la violenza non più come qualcosa che fa parte della vita, non più come un mezzo attraverso il quale lottare o ottenere qualcosa. Ma semplicemente come qualcosa senza senso.
Forse dovremmo imparare da quello stupore.
Perhaps we should learn from that astonishment.
I'm learning to know Norway and its inhabitants, but I'm not here to write an essay about norwegians, like someone is doing in these days, although he knows 'em even less than me.
I can talk about my own impressions, and it's the only thing I feel to do.
In these days I've got the impression of living in a small town.
I know I'm not the only one.
Norway is basically made for the most part of small villages; the whole population, although spread in very great spaces, it seems to me to behave like in a tiny comunity. If something bad just happened in the town, the entire comunity is emotionally strongly involved.
There is a very long tradition of mass murders and bombs in many countries in the world, included mine, Italy.
It goes without saying that the collective psyche of that countries' population would be shaped, in a way, on their bloody history.
In Norway nothing like this never happened within living memory, and the latest bombs blown here date back to the WW2.
The norwegian people's collective psyche was'nt ready and the picture I had in my head in these days is the one of a young woman who just lost her virginity by a rape.
Behind the tear-stained faces, behin the not screamed pain of the hundres people I saw in these days I could'nt help to see a certain astonishment.
Probably the same astonishment we all should feel before the violence, the first or the hundredth time we face it.
Perhaps we should learn from nowegians, start to see the violence not like something that belong to the life, no more as a way by wich to fight or to obtain something.
But simply like something pointless.
Perhaps we should learn from that astonishment.