sabato 29 ottobre 2011

Sandro Usai

Non sono un “nativo digitale”, ma nemmeno un cinquantenne rincoglionito che non capisce nulla di web.
Mi sono comprato il primo computer a 22 anni, collegato ad internet subito dopo, dieci anni belli pieni di vita da moderno cittadino del ventunesimo secolo.

Mi lasciano perplesso i giovani che demonizzano internet, personalmente farei fatica a riabituarmi ad una vita predigitale, sebbene talvolta ne avrei bisogno.

Se c'è una cosa che ho capito del web in questi miei dieci anni di frequentazione di forum, social network, siti, blog, è che tutto è orizzontale, non c'è nessuna autorità dall'alto che imponga una gerarchia alle informazioni, ai fatti, alle cose.

E quindi può capitare che riesca ad essere informato su fatti importanti, ma nascosti dai media principali, oppure che perda il mio tempo su notizie del tutto insignificanti che mi sembrano vere.
Oppure ancora venire a conoscenza di notizie importanti attraverso notizie insignificanti.

Mai avrei immaginato che sarei venuto a conoscenza del fatto che in Uzbekistan vi sia una dittatura attraverso una notizia riguardante Eros Ramazzotti.
Ma tant'è.

Certe volte però sembra che una gerarchia alle informazioni si crei di sola, una notizia si diffonda a dismisura a dispetto di altre. E questo dispiace, soprattutto quando si dà forse un eccessivo valore simbolico alla morte di qualcuno, e nessun valore alla morte di qualcun'altro.
Che magari ne meritava un po' di più.

Non è bello fare una classifica dei morti, una top ten del dolore. E non intendo farlo.

Ma fa rabbia vedere come la morte di un motociclista famoso abbia oscurato decine e decine di altre morti , avvenute negli stessi giorni all'interno di  gravi tragedie.

Senza nulla togliere al dolore dei familiari e amici del motociclista, mi indigna che non si siano spese altrettante parole di dolore per le centinaia di morti nel terremoto in Turchia, o le decine di morti nell'alluvione in Liguria e Toscana.


Quando muore uno famoso non muore solo una persona. Muore un simbolo, un icona.
Il processo identificativo con l'icona è immediato, forse naturale.
Ma risulta difficile identificarsi in centinaia di vittime.

E allora mi pare giusto prendere una sola persona tra le due tragedie, e renderla icona (nonostante non sia nemmeno riuscito a trovare una foto su internet).

Un volontario morto nell'alluvione ligure, che rappresenti metonimicamente tutte le vittime trascurate dai media. E non parlo solo dei social network ( tantissimi post lagnosi su facebook, avatar dedicati alla morte del motociclista e quasi nessuno ha speso una parola per i terremotati e gli alluvionati), ma anche i principali quotidiani online (su Repubblica.it per giorni ampio spazio al motociclista, il terremoto turco relegato ad un trafiletto minore, e così altri giornali).

Questo volontario si chiamava Sandro Usai.

domenica 16 ottobre 2011

Un paesello provinciale

(english version follows)

In queste ore tutti quanti stanno dicendo la loro sul casino che è successo l'altro giorno a Roma alla manifestazione contro le ineguaglianze economiche.
Si può sapere chi cazzo sono io per avere la pretesa di dire la mia?
(chiunque è libero di rispondere)
Che posso aggiungere di nuovo a tutto quello che è stato detto?
(le imbecillità  strumentali dei politici, le teorie del complotto, le cossigate, la separazione dei buoni  dai cattivi, eccetera eccetera....)
Questi discorsi mi annoiano, perchè sono sempre gli stessi.
Ma c'è un piccolo fatto nuovo.
Stavolta la nostra manifestazione ha  avuto dei termini di paragone.
Globali.
La manifestazione romana è stata infatti l'omologa italiana di una manifestazione globale, su temi globali, avvenuta in tutte le principali piazze del globo, da New York a Tokio.
Nel mondo assistiamo a forme aggregative diverse, orizzontali, unite nei contenuti e non nelle ideologie, pacifiche. E in Italia?
In Italia si assiste alla solita rievocazione degli anni settanta o, se volete, del luglio 2001.
In Italia ancora siamo rimasti alle categorie “fasci” , “comunisti”, “sbirri”, ogni manifestazione è pretesto per sfogare  frustrazioni  mascherandole con le solite etichette da stadio.
Niente, non ce la facciamo ad andare oltre queste categorie.
Lascio a chi è più informato di me il passatempo di studiarne le cause, analizzare i video, infamare i politici o i manifestanti.
Io dico solo che l'Italia, ancora una volta, si è dimostrata un paesello provinciale.

A little provincial country

In these hours everybody are saying something about the mess occured some days ago  in Rome, at the demonstration  against the economic inequality.
Who the fuck do I think to be to demand to have my say?
(feel free to answer)
What can I add of new to what has been said?
(the instrumental stupidity of politicians, conspiracy theory, the distiction between goods and bads, and so on.....)
These talks bore me, because they are always the same.
But ther's something new.
This time our demonstration had an element of comparison.
Global.
The roman demostration was infact the italian corresponding of a global demonstration about global issues, occurred in the globe's main squares, from New York to Tokio.
In the world we witness to different ways to demonstrate together, joined by the contents not by ideology, peaceful. What about Italy?
In Italy we witness to the usual revival of the Seventies or, if you like, of june 2001.
In Italy we still remained to the cathegory “fascist”, “comunist”, “cops”, every demonstration is just  an excuse to give vent to frustations, masking'em with the usual labels.
Nothing doing! We are not able to go beyond these cathegories.
I let who is more informed than me the hobby to study the causes, analyze the tapes, blame against the politicians or the demonstrators.
I only say that Italy, one more time, proved to be a little provincial country.

martedì 26 luglio 2011

Forse dovremmo imparare da quello stupore



(english version follows)


Sto imparando a conoscere la Norvegia e i suoi abitanti, ma non voglio scrivere un saggio sui norvegesi, come qualcuno sta facendo in questi giorni, pur conoscendoli ancor meno di me.

Posso parlare delle mie impressioni, ed è la sola cosa che mi sento in grado di fare.

In questi giorni ho come l'impressione di vivere in un piccolo villaggio.

So di non essere il solo.

La Norvegia di fatto è composta per la maggior parte di piccoli villaggi; la popolazione intera, benchè sparpagliata in grandissimi spazi, mi sembra che nel suo insieme si comporti come un piccola e stretta comunità.
Se qualcosa di brutto è appena accaduto nel paesino,la comunità intera è fortemente coinvolta emotivamente.

La tragedia di questi giorni la conosciamo tutti, un esaltato ha compiuto una strage.

C'è una lunghissima tradizione di stragi e di bombe in molti paesi del mondo, tra cui il mio paese, l'Italia.
Non ci vuole molto ad immaginare  come la psiche collettiva delle popolazioni di tali paesi sia in qualche modo forgiata dalle proprie storie di sangue.
In Norvegia fatti del genere non sono mai accaduti da che si abbia memoria, e le ultime bombe esplose sul territorio nazionale sono state durante la Seconda Guerra Mondiale.

La psiche collettiva del popolo norvegese non era pronta, l'immagine che mi è venuta in mente più volte in questi giorni è quella di una giovane donna che perde la verginità attraverso uno stupro.

Dietro ai volti  rigati di lacrime, dietro il dolore non urlato delle centinaia di persone viste in questi giorni non ho potuto fare a meno di vedere anche un certo stupore.
Uno stupore che amplifica il dolore.
Probabilmente lo stesso stupore che dovremmo provare tutti di fronte alla violenza, che sia la prima o la millesima volta.

Forse dovremmo imparare dai norvegesi, iniziare a vedere la violenza non più come qualcosa che fa parte della vita, non più come un mezzo attraverso il quale lottare o ottenere qualcosa. Ma semplicemente come qualcosa senza senso.

Forse dovremmo imparare da quello stupore.




 Perhaps  we should learn from that  astonishment.


I'm learning to know Norway and its inhabitants, but I'm not here to write an essay about norwegians, like someone is doing in these days, although he knows 'em even less than me.

I can talk about my own impressions, and it's the only thing I feel to do.

 In these days I've got the impression of living in a small town.

I know I'm not the only one.


Norway is basically made for the most part of small villages; the whole population,  although spread in  very great spaces, it seems to me to behave like in a tiny comunity. If something bad just happened in the town, the entire comunity is emotionally strongly involved.


There is a very long tradition of mass murders and bombs in many countries in the world, included mine, Italy.
It goes without saying that the collective psyche of that countries' population would be shaped, in a way, on their bloody history.
In Norway nothing like this never happened within living memory, and the latest bombs blown here date back to the WW2.
The norwegian people's collective psyche was'nt ready and the picture I had in my head in these days is the one of a young woman who just lost her virginity by a rape.

Behind the tear-stained faces, behin the not screamed pain of  the hundres people I saw in these days I could'nt help to see a certain astonishment.
Probably the same  astonishment we all should feel before the violence, the first or the hundredth time we face it.
Perhaps we should learn from nowegians, start to see the violence not like something that belong to the life, no more as a way by wich to fight or to obtain something.
But simply like something pointless.

Perhaps  we should learn from that  astonishment.















domenica 26 giugno 2011

F.U.Q. (frequent unrequest questions)

Sono tre anni che torno a Bergen.
Le centinaia di turisti con le quali debbo sorridere e alle quali debbo vendere lo squisito salmone norvegese (signora, ce ne sono di tre tipi: il marinato, quello selvatico che è affumicato a freddo e poi quello affumicato a caldo, vuole assaggiare?) sembra che prima di arrivare nella ridente cittadina anseatica ( si, Bryggen è da quella parte, sempre dritto dopo il mercato... quelle casette, esatto..no signora, gli orari non li so) si riuniscano in degli enormi casermoni, oppure in degli stadi, comunque in degli spazi molto grandi. Una volta riuniti l'ordine del giorno consiste nello stabilire alcune domande da rivolgere ai lavoratori al mercato del pesce.
Sono tre anni che torno a Bergen dicevo.
Pare che almeno da tre anni queste riunioni finiscano allo stesso modo, le domande che vengono scelte sono inesorabilmente le stesse.
Spesso per mancanza di tempo non posso rispondere come vorrei. Utilizzo quindi questo blog per poter finalmente dare ai miei amati clienti delle risposte complete alle loro domande, nella speranza che alle prossime riunione utilizzino un po' di più la fantasia.


Oh, anche tu italiano?!?

Si, anche io sono italiano, ma non lo ritengo un fatto straordinario, dato che siamo un paese estremamente popoloso.



E che ci fai qua???

Indosso una divisa da lavoro e sono dietro il bancone di una bancarella invitandola a comprare del salmone. Vuole qualche altro aiutino?



Italiano di dove?

Catania.


Si sente eh!

E allora perchè me l'hai chiesto?


E come fa un siciliano a vivere in Norvegia? Non è forte il cambio di temperatura?

L'uomo, a differenza degli altri animali, è un essere estremamente evoluto e adattabile. Se per ipotesi trasferissimo un cammello al Polo Nord, quest'ultimo morirebbe o comunque soffrirebbe moltissimo il cambiamento di habitat. Per l'uomo è differente. Ogni volta che cambia di latitudine, nonostante possa provare spaesamento o disappunto per il cambio climatico, egli si adatta facilmente utilizzando degli indumenti pesanti se fa freddo, più leggeri se fa caldo, impermeabili de il clima è piovoso.


Qui piove sempre eh?

E' vero, qui piove molto spesso, è la città più piovosa d'Europa.


Ma come fai a vivere con tutta questa pioggia? Non ti manca il sole dell'Italia, la cucina?

Indubbiamente il clima  italiano mi manca. Ma ci sono momenti nella vita nei quali il meteo non è certo l'unico strumento per scegliere il luogo dove vivere. Ci sono parametri come quello economico, di livello di civiltà, di prospettive per il futuro ad esempio. Davvero dovrei tornare a svolgere lavori malpagati e spesso senza nemmeno contributi versati soltanto per qualche raggio di sole in più? No grazie, tenetevelo pure, il sole. Per quanto riguarda il cibo italiano riesco a ricrearlo benissimo nella mia cucina a qualsiasi latitudine.


Sono fiche le nordiche eh?

Le ragazze norvegesi sono mediamente bellissime. Ho cercato di razionalizzare quest'abbondanza di beltà. Ho provato a convincermi che la bellezza è uguale dappertutto e che forse qui ne veniamo particolarmente colpiti perchè è una bellezza diversa. Balle.  Per una qualche mistura genetica qui in Norvegia c'è la più alta percentuale di belle ragazze che abbia mai visto.


Sono facili eh?

I clichè dell'italiano che va all'estero per scopare e della nordica geneticamente troia è datato. Io partirei dal presupposto che alla stragrande maggioranza degli esseri umani sul pianeta piace scopare. Quelli che cambiano sono i modi in cui il sacrosanto appetito sessuale si traduce in comportamento sociale. In Italia siamo abituati ad una  secolare pantomima di stampo machista nella quale l'uomo ha il dovere di conquistare e la donna il diritto di concedersi o meno. Una dinamica prettamente unidirezionale. Da queste parti invece il medioevo è finito da un pezzo, sono decenni che l'educazione sessuale è insegnata nelle scuole e le dinamiche di corteggiamento sono assolutamente bidirezionali. Una realtà talmente normale che in un paese bacchettone e moralista come il nostro viene vista come incredibile.


Certo ce ne vuole di coraggio per partire eh?

Mi sa che ce ne vuole ancora di più per restare...

lunedì 25 aprile 2011

(me compreso)


“Il Cambiamento”. Secondo voi è una cosa positiva o negativa?
Domanda del cazzo, certo.
Se vinco alla lotteria è di certo un cambiamento positivo, se mi sbrana un puma no.

Esiste comunque una certa retorica sul cambiamento, e siccome la retorica non va per il sottile si tratta di argomentazioni o totalmente positive o totalmente negative.
Tutti i politici ad esempio invocano il cambiamento, i progressisti danno al concetto un valore positivo (Obama c'ha vinto le elezioni), mentre i conservatori tendono ad averne paura auspicando un mondo immutabile (vedi alla voce “Lega Nord”).


Quando si ha voglia di scrivere qualcosa di importante, in un momento cruciale della propria vita, magari mettendo in mezzo concettoni come “il cambiamento”, si rischia a propria volta di farsi intrappolare dalla retorica e raccontarlo come un avvenimento mitico, in cui il protagonista è dipinto come un eroe omerico.
Almeno questo è quello che faccio io, per dare un senso ai continui cambiamenti che periodicamente hanno terremotato la mia vita. E se qualcuno ha visto come tengo la mia stanza saprà che “terremotato”  non è un termine usato a caso.
Nel lasciare la mia città d'adozione e quindi l'Italia non c'è nulla di eroico. Forse il vero eroismo è rimanere qua, dove tutto è fermo e la ricerca della propria strada è ostacolata e svilita.

Adesso mi ritrovo in mezzo al caos di un viaggio iniziato con parecchi ostacoli, in mezzo a scatoloni, valige, due amici spagnoli  che mi hanno aspettato dieci giorni, un furgone che mi ha lasciato per strada in mezzo alle colline toscane.
E poi ancora: una corsa contro il tempo, il furgone messo a posto, una partenza che finalmente si riesce a intravedere, un viaggio verso nord.
La malinconia quando vado a trovare la mia famiglia, gli stessi conflitti adolescenziali mai risolti, i genitori sempre più anziani, la tristezza nel ripartire ogni volta, ma anche la consapevolezza che tornare a vivere lì sarebbe improponibile.
Lo stress, l'inquietudine di un viaggio che non iniziava, che mi faceva impazzire, che vedevo come una congiura degli dèi contro di me, contro la mia urgenza di cambiamento.
E ancora: una città che non era mia, ma che lo è diventata e che lascio dopo quasi dodici anni,tutti i ricordi infilati alla rinfusa negli scatoloni, disordine dappertutto.

Se si vuol stare su una bicicletta senza cadere bisogna pedalare. Forse il cambiamento altro non è che questo pedalare. Poi tutto dipende dalla direzione che uno sceglie.
Io di direzioni ne ho fin troppe in testa, che è come non averne nessuna. Ma spero non mi giudichiate troppo severamente per questo. Quando la troverò allora la metterò in garage 'sta bicicletta, ma fino ad allora mi tocca pedalare, che se mi fermo non vado da nessuna parte.
E in più cado!

Buona Liberazione a tutti! (me compreso)


mercoledì 20 aprile 2011

E secondo voi, a quanto era quotato?

(recensione di Habemus Papam di Nanni Moretti)

La sera stessa che ho deciso di andare a vedere Habemus Papam di Nanni Moretti, quest'ultimo era ospite da Fabio Fazio in tivvù. Fortunatamente mi sono perso la trasmissione.
Il sagace conduttore infatti, emozionato come uno scolaretto come sempre quando intervista qualcuno, tra una domanda demente e l'altra ha estorto al malcapitato regista un clamoroso spoiler del film. Lo stesso Moretti, accortosene, ormai tardi, cerca di buttarla in battuta, cercando di non far trapelare la litania di bestemmie che di sicuro stava snocciolando mentalmente in quel momento.
Che Fabio Fazio sia capace di intervistare esattamente quanto io sono capace di strappare un elenco del telefono a mani nude lo si sa, quindi parlerei piuttosto del film visto ieri sera.
(Nelle prossime righe a mia volta potrei anticipare qualche scena del film. Siccome non mi chiamo Fabio Fazio vi avviso per tempo).

Moretti esattamente dieci anni fa, nel 2001, ha iniziato  una seconda fase della sua produzione, non più tra il generazionale e l'autoreferenziale, dal respiro più ampio.
Potremmo dire una fase più cinematografica, meno diaristica, nella quale è più  evidente la volontà di utilizzare il mezzo per raccontare una buona storia e non più utilizzarlo soltanto come una sorta di autopsicanalisi.
Quasi a compensare la mancanza dell'autopsicanalisi cinematografica della prima fase, il personaggio dello psicologo compare in ben due film su tre di questa nuova fase, La stanza del figlio e il nuovissimo Habemus Papam.
Per quanto riguarda Il Caimano beh, potremmo benissimo considerarlo un opera di psicanalisi collettiva. Scatta infatti una sorta di corto circuito nello spettatore quando Moretti, forse citando in qualche modo Gaber (“non temo il Berlusconi in sé, temo il Berlusconi in me”), nella scena finale interpreta lui stesso il Caimano, identificandosi proprio nell'antagonista e mostrandoci quanto sia sottile la linea che crediamo divida noi dalla nostra nemesi.

In Habemus Papam il protagonista del film è il cardinale Melville il quale, eletto papa, non si sente  all'altezza dell'incarico e cerca di sfuggirne.
La prima lettura che si può dare della pellicola è quella emozionale. I sentimenti di disagio, inadeguatezza, oppressione, paura, trapelano in maniera molto efficace nel film, tanto che lo spettatore prova la stessa ansia del papa titubante e allo stesso tempo si mischia alla folla di fedeli che aspettano per giorni la proclamazione del nuovo pontefice, provando anch'egli la stessa apprensione.
Se il film voleva proporsi lo scopo di trasmettere queste sensazioni c'è riuscito in pieno.
Ma benchè non sia un film “contro la Chiesa”, come molti si aspettavano e come qualche acuto giornalista di Avvenire ancora crede, in maniera simbolica e con toni direi persino teneri, il film muove una chiara critica proprio alla Chiesa.
In ciò possiamo scorgere la seconda chiave di lettura del film.
Il papa rinunciatario, assalito dai dubbi, lontano anni luce da come si presenta il papa non cinematografico, rivela una Chiesa in crisi d'identità, una Chiesa che non comunica più col mondo, chiusa in un mondo autoreferenziale.
La necessità, la voglia di cambiamento, è dipinta perfettamente dalla splendida canzone di Mercedes Sosa, “Todo cambia”. Il mondo che muta nelle sue mille forme e contraddizioni richiede un'apertura al mondo stesso, che la Chiesa, imprigionata nei suoi palazzi (fisici e dogmatici) non ha più. Molto significativa la scena nella quale i cardinali, imprigionati in Vaticano con Moretti, ascoltano la canzone battendo le mani a tempo e accennando quasi ad una danza. La ascoltano come si ascolta un bel motivetto, non cogliendone il significato profondo.
La stessa canzone, nello stesso momento, viene ascoltata da Melville fuggitivo per le strade di Roma, interpretata da un'artista di strada. Fuori dal palazzo la canzone appare più vera, non è più un simpatico motivetto da canticchiare, ma uno spunto su cui riflettere.

Lo psicologo Moretti, impossibilitato ad uscire dal Vaticano organizza un torneo di pallavolo tra i cardinali di tutto il mondo. Di sicuro il momento più surreale del film. I cardinali rappresentati sono dei vecchietti fin troppo umani, ma quasi caricaturali nel loro mondo al di fuori dal mondo. Lo straniamento del torneo di pallavolo in Vaticano aumenta ancora di più la distanza tra quel mondo e  il mondo reale, proprio mentre il papa fuggitivo si mischia ad esso.
Il dubbioso Melville è anch'esso umano, ma di un'umanità più profonda. Un' umanità che acquista spessore proprio nel dubbio e nell'accettazione dei propri limiti.
Moretti ha fatto un iniezione di pensiero debole all'interno di un mondo, quello cattolico, che per ovvie ragioni si basa su certezze granitiche. Ciò provoca un'evidente crisi in quel mondo, una crisi dalla quale forse potrebbe ripartire una rinascita, se fosse accettata e affrontata.

In questa storia così ben narrata e strutturalmente semplice non mancano momenti divertenti, così ben dosati da non stridere con l'atmosfera generale del film.
Habemus Papam non è un film satirico, ma c'è almeno una scena che possiamo considerare tale.
I cardinali chiedono a Moretti a quanto fosse quotato dai bookmaker inglesi ciascuno di essi sulla possibilità di essere eletto papa. Tra i cardinali curiosi ce n'è uno, dai capelli bianchi e perfettamente in ordine, occhiali, chiaro accento tedesco. Vi ricorda qualcuno?
E secondo voi, a quanto era quotato?

domenica 17 aprile 2011

Sarò un pesce

Aristotele distingueva tre modi diversi di comunicare: la logica, la retorica e la dialettica.

La logica descrive dei ragionamenti che partono da premesse condivise dagli interlocutori, portate alle loro ovvie conseguenze (“Berlusconi è un uomo, gli uomini sono mortali, dunque Berlusconi è mortale”.... sebbene tempo fa si pensasse questo anche di Andreotti...).

Quando le premesse non sono necessariamente condivise dagli interlocutori, allora scatta la retorica, che è l'arte di convincere gli altri (di solito molti) della bontà delle proprie convinzioni. La retorica non è obbligata a seguire i ferrei dettami della logica. Con la retorica si può dire un po' il cazzo che ci pare, purchè si sia convincenti (devo fare degli esempi???).

Infine abbiamo la dialettica, il modo più democratico di interloquire. Non abbiamo assiomi precondivisi, né qualcuno che cerca di convincere altri in tutti i modi, bensì due persone alla pari che confrontano alla pari le proprie idee. Si possono ottenere due risultati: uno dei due interlocutori aveva argomenti migliori e quindi vince la disputa, oppure i due interlocutori trovano una terza idea  a metà strada tra le due iniziali e più convincente.

Il famoso dialogo insomma.

Sempre evocato come panacea di tutte le controversie del mondo, come modo migliore per evitare di abbassarsi alla violenza, alla prevaricazione o all'inganno.
Forse la più nobile forma di comunicazione, perchè prevede il rispetto dell'altro, sforzo e dedizione.
Però sapete cosa?
Io mi sono rotto il cazzo del dialogo.

Man mano che raggiungevo l'età della ragione mi sono fatto via via più convinto che il dialogo, il ragionare insieme ad un altra persona, fosse la via migliore per risolvere le controversie.
Non so, sarò stato influenzato da quell'esplosione di politically correct che c'è stata tra gli anni ottanta e gli anni novanta, non lo so.
Fatto sta che dopo anni in cui ho sempre cercato di praticare 'sto famoso dialogo, dopo averlo visto applicato in tv nei salotti televisivi, io non ci credo più.

In uno dibattito televisivo ci illudiamo sempre di vedere uno scontro di idee e magari scegliere quella che ci convince di più. Non è così! Gli interlocutori che vediamo discutere non spostano di una virgola le loro convinzioni, nemmeno di fronte a dati incontrovertibili che dimostrano la debolezza della loro tesi. Avete mai visto un droide berlusconiano esprimere dei concetti diversi da quelli per il quale è stato programmato?
Ma nemmeno gli spettatori scelgono la tesi più convincente! Si tifa preventivamente per la propria parte e da quel lato si rimane fino alla fine, a prescindere di come ha argomentato le proprie opinioni.

Siamo talmente sazi delle nostre convinzioni che tante volte è ininfluente persino la fonte dalla quale provengono le informazioni che riceviamo.
Mio padre ad esempio è antiberlusconiano, ma guarda sempre il TG1. Per abitudine, per tradizione,  il TG1 è stato per decenni il telegiornale, la fonte principale di informazione. Mio padre continua a seguirlo da decenni, e quando parlano di Berlusconi, anche se lo descrivono come il messia in terra, mio padre gli dà del cornuto (includendo anche Craxi e producendosi in un rapido meaculpa in quanto ex socialista).

Le nostre convinzioni sono sempre granitiche, inespugnabili. Questo mi ha portato a desistere da dialogo, quando non ce n'è lo spazio.
Molto spesso mi sono trovato ad interloquire con gente con  la quale non solo era difficile instaurare un dialogo, ma con la quale risultava complicato anche la condivisione di alcune premesse che io ritenevo appartenenti addirittura alla sfera della logica!

Come si fa ad instaurare un dialogo se non siamo nemmeno d'accordo sulle premesse logiche!?

Il ragionamento, l'analisi dei fatti, i rapporti causa effetto, la ricerca delle contraddizioni interne ad un concetto, sono azioni evidentemente faticose per molti, magari pure pallose, e chi cerca di portarle avanti con pazienza e dedizione è spesso visto come un rompipalle.
Meglio imbellettare le proprie convinzioni, magari urlandole o ribadendole ad infinito, oppure magari vedendo nel tentativo di dialogo dell'altro un attacco personale. E' più semplice.

“Poco importa se i miei argomenti siano fallimentari, palesemente folli, o che abbiano portato  a dei risultati tragici! Sono i miei!!!! E chi sei tu per mettere in crisi le mie convinzioni, il mio modo di vivere così meticolosamente costruito e gelosamente conservato?”

Il dialogo con queste persone non serve a nulla. Non serve nemmeno la logica. Forse il crick può essere di una qualche utilità. Ma ne dubito.

Comunico a queste persone che da oggi in poi, per loro, sarò un pesce.

venerdì 1 aprile 2011

Una splendida giornata

E' da tempo ormai che la politica italiana mi annoia . Certo, non che sia noioso in sè vedere dei personaggi caricaturali che ogni giorno se ne escono con comportamenti assurdi, grotteschi, ridicoli, violenti, o magari semplicemente bizzarri. La politica italiana è un circo Barnum da tempo. 
Il casino che è successo in parlamento l'altro giorno è solo stato uno dei tanti, non vi ricordate quando si menavano? (ahahahaha! )

Tutti pensiamo immediatamente che è stato Berlusconi a farla degenerare. Berlusconi ha semplicemente sublimato una caratteristica che era già presente in nuce (e anche in duce) tra i nostri tristi rappresentanti e in qualche misura anche tra tutti noi italici.
Anche Mussolini la sublimò a suo tempo, poi nei grigi decenni democristiani probabilmente ci fu un tentativo della nostra classe politica di darsi dei toni da politici serii dopo le buffonate del ventennio. 
 Ma non potevamo resistere, e questi anni vedono l'esplosione della buffonaggine della politica italiana.

Berlusconi è riuscito nell'intento di dividere gli italiani in tifoserie sfegatate, quest'uomo ha trasformato l'italia nel medioevo dei guelfi e ghibellini, e entrambi le parti in gioco sono ossessionate fondamentalmente da lui. Tanto gli oppositori quanto i sostenitori. L'altro giorno davanti al palazzo di giustizia a Milano quelle scene di grida e sputi tra berlusconiani e antiberlusconiani mi hanno fatto impressione. C'è gente che ogni giorno si rode il fegato pensando a sostenere o contrastare B. La quasi totalità della satira è su B. Le librerie sono colme di libri su B. Ho avuto qualche lite con una mia cugina a causa di B. 
Ha avuto, ed ha senso indignarsi e contestare, ma ormai io sono arrivato alla saturazione, alla stanchezza, voi no?
Comunque la pensiate, è un epoca che si sta chiudendo. 
Ormai è successo,cos'altro può cambiare una buffonata in più o in meno?
Cari sostenitori, l'avete avuto per un sacco di tempo, che senso ha questo vostro continuo incazzarsi? Vi è piaciuto? benissimo, contenti voi... 
Cari oppositori, l'avete preso in culo un sacco di tempo, e lo so che non vi è piaciuto (nemmeno a me è piaciuto). Ormai siamo agli sgoccioli, ne avete viste tantissime, ma davvero siete ancora in grado di sorprendervi per le pagliacciate mediatiche che vediamo da quasi un ventennio? 

Lasciamo che questo il sipario si chiuda su questo triste teatrino, perchè si sta già chiudendo, e anzicchè rimanere tra i polverosi sedili a urlare e inghiottire bile, usciamo fuori!

Che anche se piove, sarà comunque una splendida giornata!

giovedì 24 marzo 2011

Splendide discoteche barocche

La questione, lo dico subito, è per me di scarsissima importanza. Rasenta, anzi, la noia. E lasciamo i crocifissi che rappresentano la nostra cultura, e togliamo i crocifissi che sennò si vìola la liberta di religione... mi sembrano i tipici discorsi di chi non ha un cazzo da fare.
Dice "e allora perchè ci hai fatto addirittura una vignetta?". Perchè non ho un cazzo da fare, ovvio. Anzi, ho persino meno da fare dei tizi che ne parlano, dato che ho persino trovato il tempo di fare un disegno, scrivere delle parole e addirittura aggiungere dei colori!
Le vignette di solito dovrebbero far sorridere chi le legge; chi le fa se le gode sopratutto quando gli viene l'idea e quando l'ha realizzata bene (se c'è riuscito), fine.
Quindi spero che la vignetta vi faccia ridere.
Ma voglio raccontarvi invece qualcosa che ha fatto ridere me l'altro giorno.
Stavo parlando con un mio amico di una cosa che mi aveva impressionato un po': vado dal barbiere sotto casa, marocchino, entro nel salone e non trovo nessuno. Chiamo. Niente. Dopo un po'mi accorgo che era nel retro a pregare (era venerdì). Raccontavo questa cosa al mio amico dicendogli come mi avesse impressionato la pratica puntuale dei propri riti da parte di quel tizio. E mi chiedevo: quanti sedicenti cattolici farebbero lo stesso rischiando di perdere un cliente?
Mentre mi rispondevo il mio amico prese l'occasione per iniziare uno sproloquio sul fatto che questi qui (gli islamici) ci stiano invadendo, che vogliono imporre la loro religione, che non dovremmo fargli fare le moschee e cose di questo genere.
Premetto che a me la questione "costruire nuovi posti di culto" non interessa minimamente, sebbene mi sembri ragionevole e giusto dal momento che tanta gente ne sente l'esigenza e dal momento che i seguaci di altre religioni ne hanno a bizzeffe. Mi venne  anche un'idea geniale: dato che non si vogliono costruire nuove moschee, e dato che a messa non ci va più nessuno, perchè non convertire un bel po' di chiese cattoliche in moschee? Almeno la gente tornerà a frequentarle! Con un costo irrisorio, basterà sostituire la croce in cima con una mezzaluna e coprire i quadri con dei drappi.
Mentre mi congratulavo con me stesso per la bella pensata, il mio amico stava avendo un attacco di cuore. Durante la rianimazione in ambulanza cerco con calma di fare capire al mio amico che la storia si ripete da millenni, che le civiltà si susseguono, che quando una civiltà è debole ne subentra naturalmente un altra. I primi cristiani si facevano mangiare dai leoni al Colosseo per difendere la propria fede, la religione preesistente era troppo debole per sopravvivere ad una fede così forte e alla fine sparì.  La fede di uno che si ritira a pregare sul retro del negozio è certamente più forte di quella di un popolo di sedicenti devoti che chiudono gli occhi davanti agli scandali sessuali dei loro politici. Quindi prima o poi anche il cattolicesimo sparirà, e poi anche l'islam, e poi anche tutte le altre, e finalmente un bel giorno potremmo utilizzare quelle meravigliose basiliche come splendide discoteche barocche!